MONTE CAMPO– MONTE SAN NICOLA – GUADO DELLA CANNAVINA
Lasciato il centro abitato dopo aver percorso Via Roma, (con sosta in Via Arco (Xenodochio), Via San Giovanni e Piazza Emanuele Gianturco, si prende Via Marconi, dove è visibile La Croce del Calvario. Ci si trova sul sentiero 310 che come prima tappa conduce alla chiesetta di Santa Lucia, alle pendici di Monte Campo. Per giungere a Santa Lucia si attraversano diversi prati ricchi arbusti quali la Rosa Canina, il Sorbo dell’Uccellatore e il Pruno Selvatico che spesso fanno da confine tra le diverse proprietà insieme a peri e meli selvatici.

Dalla chiesetta di Santa Lucia si può eventualmente prendere il sentiero 310A che conduce al Giardino della Flora Appenninica oppure continuare il percorso del sentiero 310 iniziando la salita verso Monte Campo si attraversa una pineta di pino nero, rimboschimento degli anni settanta – ottanta, che sta cedendo il posto agli immancabili Faggi e Aceri Montani che affollano il nostro territorio. Nella salita si incontra un Casolare in Pietra.
Appena dopo è possibile lasciare il sentiero 310 e intraprendere il 310B che porta direttamente alla Croce della Vetta di Monte Campo ovvero alla cima di questa montagna che rappresenta il punto più alto del territorio comunale a 1746 m s.l.m. Dalla vetta di Monte Campo si possono ammirare panorami mozzafiato. Monte Campo è più volte citato nel romanzo Viteliù di Nicola Mastronardi che narra la storia del fiero popolo Sannita. Il sentiero 310B continua il suo percorso lungo la cresta di Monte Campo per andare a ricongiungersi al sentiero principale 310 alla Località Portella Ceca.
Coloro che invece non vogliono raggiungere la Croce della vetta di Monte Campo una volta oltrepassato il casolare in pietra continuano il percorso del 310 iniziando una discesa che conduce a Portella Ceca. Da qui si presentavo diverse alternative, proseguire lungo il 310, oppure prendere il 310B che porta alla Croce della vetta di Monte Campo oppure prendere il 310C, un viottolo che costeggia Monte Campo, in una stupenda faggeta dove sono presenti molti esemplari di Abete Bianco. Si giunge alla Fonte di Carovilli, si prosegue verso Monte Ciglione e si riprende il sentiero principale 310. Una visita all’area delle Sculture Celestiniane su Roccia e alla Croce di Monte Campo piegata dal vento, per poi programmare il rientro al centro abitato.
Nelle immediate vicinanze si può raggiungere il Giardino della Flora Appenninica oppure senza raggiungere il Giardino si scende al paese attraversando La Guardata ricca di essenze varie tra cui l’Uva Spina , sono inoltre presenti fioriture particolarmente vistose di giglio rosso (Lilium bulbiferum croceum), il giglio martagone (Lilium martagon), l’aquilegia (Aquilegia ottonis), la genziana appenninica (Gentiana dinarica), di un azzurro intenso e varie specie di orchidee selvatiche delle quali la più diffusa è l’orchidea maschia (Orchis mascula L.), si raggiunge la Fonte Bricciaia, una sosta nella “Pineta di San Giovanni” e siamo alle porte del paese.
ALTRE INFORMAZIONI
L’intero sentiero 310 presenta un dislivello di otre 500 m. ed una lunghezza superiore ai 15 km., consigliabile agli escursionisti più “allenati”.
Questo sentiero dopo aver raggiunto Monte Campo prosegue verso il Monte San Nicola (metri 1517) dove i più audaci possono visitare la Grotta di San Nicola per giungere a Guado della Cannavina. Si riprende la strada del ritorno attraverso un altro sentiero in parte parallelo a quello di andata che dopo aver ricondotto verso Monte Campo, ci riporta a Capracotta.
Le diramazioni del sentiero (310B, 310C, ecc.) sono dei raccordi o bretelle che consentono di accorciare il percorso del sentiero 310 consentendo di scegliere percorsi alternativi e confacenti alle proprie esigenze ed alle proprie capacità fisiche.

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Punti d'interesse

IL PALAZZO BARONALE DI CAPRACOTTA
Il Palazzo Baronale di Capracotta, attuale municipio viene costruito nel XVI secolo come sede del potere baronale sul territorio durante la signoria della famiglia D’Eboli. In pratica era il palazzo baronale.
Non conosciamo la data precisa e il nome del barone. Esso, comunque, è realizzato al di fuori delle mura cittadine in un periodo di grande espansione economica, demografica e urbanistica di Capracotta: in quel secolo la cittadina esce fuori dagli angusti spazi della Terra Vecchia e si espande tutto’intorno.
Il Palazzo, nel corso dei secoli, è stato più volte oggetto di rifacimenti. Nel 1706 fu danneggiato dal terribile terremoto che colpì duramente Sulmona. Nel 1755, don Giacomo Capece Piscicelli succede nel titolo feudale di Duca di Capracotta al padre don Giuseppe. Provvede a ristrutturare per intero l’edificio. Il Palazzo vive il suo splendore, però, durante gli ultimi anni di vita della nuora del Duca Giacomo, Mariangela Rosa De Riso. Siamo agli inizi del 1800, durante il cosiddetto Decennio Francese (1804- 1814).
La Duchessa arreda le stanze con mobili dorati, accoglie gli intellettuali locali e vi organizza degli spettacoli comici per il sollazzo della popolazione. Con la fine del feudalesimo, il Palazzo viene venduto e da simbolo del potere feudale si trasforma nella sede del potere amministrativo della comunità cittadina.
Nel libro di Campanelli “Il territorio di Capracotta” del 1931, l’autore avanza l’ipotesi che il Palazzo Baronale possa essere stato costruito nel 1568 dal barone dell’epoca Gianvincenzo d’Ebulo al momento della sua successione al padre nel titolo feudale. In realtà, Campanelli traduce alla lettera la formula Castrum Capraecottae come castello (forte, rocca) di Capracotta, quindi il palazzo del barone, dimenticando (o non sapendo oppure sorvolando) che questa formula stava a indicare una cittadina dotata di mura, come sicuramente era Capracotta per quell’epoca.
Infine, sempre nella medesima opera e nella medesima pagina ancora Campanelli ricorda che nel 1667 c’è un accenno nel Libro delle Memorie al fatto che i cittadini si raccoglievano al pian terreno del palazzo in “pubblico parlamento” per discutere su importanti questioni.
Scarica il PDF “Il Territorio di Capracotta” (24,5MB)

LA BERTESCA DI PIAZZA DI TELLA
All’angolo di un palazzo di Piazza Di Tella, in cima al Colle, è visibile una sorta di “balconcino” con la parte inferiore a forma conica. Si tratta dei resti di una bertesca medioevale: un antico strumento militare difensivo realizzato sulla mura di edifici fortificati per respingere gli attacchi di eventuali assedianti. Nella “nostra” bertesca manca completamente la parte superiore in muratura che consentiva ai difensori di poter scagliare, dall’alto e in maniera protetta, frecce, pietre, sostanze infiammate o liquidi bollenti sui nemici.
La presenza di una bertesca sul Colle ci consente di retrodatare almeno al XIV – fine XV secolo l’uscita dell’abitato di Capracotta dal quartiere originario (chiuso nel Medioevo da mura) di Terra Vecchia, cioè l’attuale zona della Chiesa Madre. La nascita dell’artiglieria, a fine quattrocento rese infatti inutile il ricorso a questo tipo di elemento architettonico, sarebbe bastata una cannonata per farla cadere giù insieme a tutti i difensori.
Oggi, i resti della bertesca di Piazza Di Tella rappresentano forse il più antico “monumento” di Capracotta dopo le distruzioni operate dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale.
(Dr. Francesco Di Rienzo)

EMANUELE GIANTURCO
Giurista, deputato, dal 1893 fu più volte ministro (Pubblica Istruzione, Giustizia, Lavori Pubblici).
Nel 1902 ottenne dalla Corte di Cassazione la sentenza che assegnava alla città di Capracotta il diritto di taglio dei boschi circostanti; il comune gli conferì per gratitudine la cittadinanza onoraria.
Nel 1912 fu inaugurata una statua in suo onore, collocata nella omonima Piazza.
Scarica il PDF “VORIA – Speciale Emanuele Gianturco” (2,7MB)

MONTE CAMPO
La vetta di Monte Campo a 1.746 metri s.l.m. è il punto più alto del territorio di Capracotta.
CROCE DI MONTE CAMPO
L’imponente croce in ferro posta sulla cima di Monte Campo ha una lunga storia, per saperne di più:
Scarica il PDF La Croce di Monte Campo (5,7MB)

MUSEO DELLA CIVILTA’ CONTADINA E DEI VECCHI MESTIERI
Il museo è una tappa del paese da non perdere che affascina il visitatore attraverso un piccolo viaggio guidato nella memoria e nel ricordo del passato, dove viene riproposta la vita quotidiana, cioè quella densa di sacrifici, da un lato, ma anche di momenti di grande calore e condivisione dei nostri nonni e bisnonni.
Pezzi in disuso, strumenti di lavoro e della quotidianità, tutti autentici e talvolta rari, patrimonio di una società ancora fortemente legata alle sue antiche origini, sono esposti, con cura, nelle sale del museo, allestito al pianterreno del Palazzo Baronale, oggi sede del Municipio che nel passato ha ospitato le varie famiglie feudali che si sono succedute nel territorio di Capracotta.
Per la realizzazione di questo museo va un grazie speciale non solo all’Amministrazione Comunale che lo ha realizzato, scegliendo dei locali, che riportati alla loro originale struttura, hanno contribuito a rendere ancora più accogliente e suggestiva questa passeggiata nel passato, ma anche al Signor Loreto Di Nucci che ha iniziato un paziente lavoro di ricerca e di raccolta di vecchi oggetti utilizzati nelle attività agricole ed artigianali legate alla vita capracottese, affinché non andassero perduti e, agli abitanti residenti nel paese e non, che hanno contribuito ad arricchirlo donando oggetti che si sono tramandati e che custodiscono gelosamente nelle proprie case, legati al mondo contadino di ieri e per, alcuni aspetti, di oggi. Le caratteristiche dello spazio espositivo e i criteri di allestimento consentono un’agevole visita. Di attrezzi e di oggetti in genere ce ne sono davvero tanti, ognuno testimone di arti manuali tramandate di generazione in generazione che hanno fatto la storia del nostro paese. Inoltre sembra quasi che ogni attrezzo rechi, ancora oggi, le impronte delle mani di chi li ha costruiti, utilizzati, riparati e tramandati. Quindi, da ciò, è facile dedurre che dietro ciascun oggetto c’è una storia, anzi, sono gli oggetti la storia stessa che si dipana come una tessitura fatta di povertà. Ogni oggetto è stato prima catalogato e poi identificato da un cartellino su cui è scritto sia il nome in dialetto capracottese che in italiano (così tutti possono capire di cosa si tratta e a cosa servivano), sia il nome della persona o della famiglia che lo ha donato al museo. Da subito i visitatori hanno capito ed apprezzato l’intento della responsabile del museo cioè quello di offrire a coloro che lo visitano scorci di vita contadina che hanno caratterizzato, da sempre, l’uomo capracottese mantenendo viva la memoria delle tradizioni e della storia capracottese, facendo fare a tutti un bellissimo tuffo nel passato … Il percorso è stato concepito come un immaginario viaggio nel passato attraverso le principali fasi della vita del popolo capracottese ben documentate da oggetti, fotografie, ecc…, esposti nel museo.
Varcata la porta d’ingresso si può da subito ammirare l’antica muratura in pietra arricchita di archi di una precisione millimetrica, ritornata alla luce grazie ad un intervento di restauro, che ha consentito di riproporre, all’attenzione e alla curiosità dei visitatori, un esempio di edilizia abitativa locale, testimonianza di un modo di lavorare che appartengono da sempre alla comunità capracottese.
Gli spazi espositivi racchiudono i più svariati oggetti che testimoniano, anzi raccontano, in maniera molto chiara, come si svolgevano le varie attività agricole e artigianali che da sempre hanno fatto parte della vita quotidiana e lavorativa del popolo capracottese e che oggi, sono scomparse del tutto o quasi. Strumenti di lavoro di altri tempi, necessità quotidiane dei pastori, dei contadini, delle donne e degli artigiani (falegnami, calzolai,sarti, fabbri, ecc…), sono esposti con cura nelle sale dove è allestita la mostra.
All’ingresso, su entrambi i lati, troviamo due manichini che indossano i costumi tradizionali capracottesi e sulle spalle la donna ha appoggiato uno scialle mentre l’uomo il classico tabarro (“cuappott a rota” in dialetto capracottese). Proseguendo troviamo una sala con sedie adatta per convegni, per la presentazione di libri, ecc…. Qui è possibile ammirare l’antico meccanismo che faceva muovere le lancette dell’orologio posto sull’antica Torre dell’Orologio che, al contrario è stata demolita nel 1970 ed è stata riprodotta in miniatura per far vedere come era strutturata. Completano la sala alcuni documenti antichi come la lettera di Giuseppe Garibaldi inviata alla Società di Mutuo Soccorso di Capracotta ed alcune lettere di un emigrante capracottese e articoli di giornali del 1950, entrambi, risalenti al periodo in cui fu donato lo “Spazzaneve Clipper” al paese.
Tali oggetti, ben combinati nel percorso, rievocano il lavoro degli uomini dediti al pascolo, alla preparazione del formaggio e della ricotta e alla cura della terra; accanto, ai quali, ci sono altri numerosi attrezzi che ricordano, nella memoria, gli antichi mestieri del tempo e i vari momenti di lavoro che venivano svolti durante l’arco della giornata. Altri spazi sono riservati al calzolaio e al falegname, dove sono visibili arnesi dimenticati dalle moderne tecnologie e che mostrano i ritmi e le consuetudini degli artigiani di un tempo. Un altro spazio ospita l’arte femminile dove vi sono esposti alcuni attrezzi della tessitura.
Sono visibili, in un altro spazio del Museo, varietà di ceste di vimini di varie grandezze, setacci, ecc…, utili ed indispensabili alla pulizia del grano e alla lavorazione della farina. Infine, un angolo è stato dedicato alla neve, da sempre, amica e nemica dei capracottesi.
In sintesi, all’interno del museo, sono presenti oggetti appartenuti alla vita pastorale, contadina e artigiana del popolo capracottese, che hanno subito mutamenti nel loro percorso di trasformazione avvenuti nei secoli successivi. Essi, inoltre, ne hanno segnato il passaggio da testimonianze reali e materiali, in generale e nello specifico, di forme di lavoro e di vita domestica non più attuali, a reperti da raccogliere, conservare, catalogare ed esporre in spazi museali (come nel nostro caso), nei quali, i visitatori possono ritrovare i segni della propria identità e riconoscerne, sotto tutti i punti di vista, le proprie origini.
La vita quotidiana di un museo è data dall’insieme di molte attività, spesso disparate nei modi in cui si realizzano e che sembrano svolgersi in direzioni diverse: la conservazione, la tutela, la risistemazione di alcuni oggetti, l’esposizione nelle varie sale, la cura, la catalogazione e la ricerca del materiale. In realtà il lavoro che si svolge dietro le quinte di un museo della civiltà contadina, si sforza sempre di raggiungere un unico obiettivo: conoscere e affermare la nostra identità culturale e rendere partecipe la gente che la storia di chi ci ha preceduti è la nostra storia. Per questo il museo vuole dialogare con i visitatori raccontando la sua “vita quotidiana” come se stessimo sfogliando un album di famiglia.
(A cura di Emilia Mendozzi)

GUADO SPACCATO
Valico di inizio di una delle bretelle di raccordo del sentiero 310.
FONTE BRICCIAIA
Conosciuta per la sua acqua definita “molto leggera”, si trova appena più su degli impianti sportivi di Capracotta. Ha dissetato bestiame che pascolava nella vicina “Guardata” e i tantissimi ragazzi e giovani che nel passato affollavano gli impianti sportivi.

MONTE SAN NICOLA
Monte San Nicola è al confine tra Abruzzo e Molise e segna lo spartiacque tra le due regioni. Alle sue pendici, nei pressi di Fonte del Romito, fu rinvenuta la famosa Tavola Osca; gli scavi effettuati alla fine del 1900 rilevarono l’esistenza di un insediamento abitativo stabile a partire dal IV-III secolo a.C. fino al primo secolo dopo Cristo,collegato alla fortificazione sannita, ancora visibile, che cinge la vetta a 1517 metri e che completa un quadrilatero fortificato avente per vertici Monte Cavallerizzo di Capracotta,Monte Saraceno di Pietrabbondante e Agnone-San Lorenzo.
Intorno alla vetta sono visibili i ruderi di un insediamento abitativo e della chiesa di san Nicola con ossario, denominato Macchia Strinata citata già nel 1197 nel Catalogus Baronum normanno; il sub feudatario Roberto di Maccla è tassato per un milite corrispondente a 24 fuochi con una popolazione di circa 120 persone.
Nella numerazione dei fuochi del 1443 Maccla è tassata sulla base di 65 fuochi, più grande di Capracotta che ne aveva allora 57.
Nel 1669 Macchia non compare nell’elenco dei fuochi dei paesi del Contado del Molise e non si sa se la peste del 1656 fu la causa del suo completo abbandono.
Associazione Amici di Capracotta
(Prof. Domenico Di Nucci, Associazione Amici di Capracotta)
PURTELLA CECA
Purtella Ceca (porta chiusa), si raggiunge da varie direzioni.
E’ un importante “snodo” dei sentieri che portano a Monte Campo o che da Monte Campo portano altrove.
Si raggiunge dalla piana di Monte Campo svoltando a destra (per chi sale) o a sinistra (per chi scende dalla Croce di Monte Campo).
Raggiunta Purtella Ceca è possibile svoltare a sinistra, diretti a Prato Gentile, a destra se diretti verso il Colle di San Nicola o Guado della Cannavina.
Naturalmente Purtella Ceca si raggiunge anche dalle direzioni inverse e da qui si raggiunge la cima di Monte Campo o si scende verso Capracotta.

SANTA LUCIA
Santa Lucia (Siracusa, 283 – Siracusa 13 dicembre 304), martire cristiana, morta durante le persecuzioni di Diocleziano.
E’ una delle figure molte care alla devozione cristiana capracottese. La prima statua della santa era collocata nella Chiesa di S. Antonio.
L’attuale cappella, la cui costruzione è terminata nel 1950, è situata alle falde di Monte Campo, a breve distanza da Capracotta.
La tradizione ci racconta che nel 1948 ad un abitante di Capracotta apparve in sogno Santa Lucia, che gli chiese di costruire una chiesetta in suo onore sotto le pendici di Monte Campo.
Proprio lì un gruppo di 22 persone decise di costruire la cappella in onore della Santa.
La cappella fu costruita con il lavoro degli abitanti del posto, che contribuirono con donazioni e con apporto di manodopera. Tutto il materiale occorrente per la costruzione della chiesetta fu trasportato con muli ed asini non essendovi ancora una via di collegamento.
Nel corso dei lavori fu rinvenuta una sorgente d’acqua, deviata poco distante, a pochi metri dalla cappella. L’attuale statua fu donata nel 1952 in occasione di una grande festa in onore della Santa.
Si tratta di una bellissima effige che rende giustizia alla proverbiale bellezza della Santa. Oggi la Santa si festeggia la terza domenica di Agosto. Nel pomeriggio del sabato, dopo aver ripetuta la tradizionale distribuzione in Piazza Emanuele Gianturco dei granati – grano bollito – simbolo dell’abbondanza e della pace, i fedeli si spostano alla chiesetta di Santa Lucia.
Qui all’imbrunire parte la processione che conduce la Santa lungo le vie del paese, per giungere alla Chiesa Madre. Nella mattinata della domenica segue la solenne processione e nel pomeriggio dello stesso giorno la statua della Santa viene ricondotta nella sua cappella, dove resterà per tutto l’anno che segue.

GUADO DELLA CANNAVINA
Il toponimo Cannavina sembra derivare dal fatto che l’attuale area denominata Cannavina nel passato fosse una zona paludosa utilizzata per la coltivazione della canapa, dal termine “canapium” sarebbe derivato quello di “Cannavina”.

FONTE CAROVILLI
Fontanile alle pendici di Monte Campo. Si trova a 1.590 metri s.l.m.
Il fontanile è stato recupato nell’agosto dell’anno 2007 da parte di alcuni capracottesi (Vincenzo Di Ianni, Celeste Di Nucci, Ennio Di Nucci, Giovannantonio Monaco e Giuseppe Monaco), su iniziativa dell’Associazione Culturale “Lucia di Miglione”.

MONTE CIGLIONE
Monte Ciglione, 1692 m s.l.m., è una montagna molto caratteristica a forma di cono, situata nelle immediate vicinanza di Monte Campo.

GIARDINO DELLA FLORA APPENNINICA
Costituito nel 1963 su idea di Valerio Giacomini e realizzato da Paolo Pizzolongo, il Giardino della Flora Appenninica di Capracotta, posto a 1525 m s.l.m., è tra i più alti d’Italia. Si fregia del simbolo dell’Acero di Lobelius, albero diffuso nei nostri boschi ed esclusivo dell’Appennino centro-meridionale. Si estende per oltre dieci ettari fino ai margini di una foresta di abete bianco – estremo lascito dell’era quaternaria – che riveste il versante settentrionale di Monte Campo.
Il Giardino è un orto botanico naturale, in cui vengono conservate e tutelate le specie vegetali della flora autoctona dell’Appennino centro-meridionale. Grazie alle diverse caratteristiche del terreno, ospita numerosi habitat naturali, dal palustre al rupicolo, dalla faggeta all’arbusteto. Il Consorzio, costituito nel 2003, tra l’Università’ degli Studi del Molise, il Comune di Capracotta, la Comunità Montana dell’Alto Molise, la provincia d’Isernia e la Regione Molise, ne assicura la promozione e la gestione attraverso il Dipartimento di Bioscienze e Territorio dell’Università degli Studi del Molise con sede a Pesche (IS). Il Giardino è impegnato in diversi progetti di ricerca e di conservazione della biodiversità.
Conservazione in situ: ricostruzione di habitat naturali e recupero di piante tutelate e a rischio d’estinzione.
Conservazione ex situ: in collaborazione con la Banca del Germoplasma del Molise (membro della rete italiana banche del germoplasma per la conservazione ex-situ della flora spontanea R.I.B.E.S.), conservazione dei semi e propagazione di specie naturali e coltivate a rischio di estinzione o utili al recupero ambientale. In stretta sinergia con il Museo dell’Erbario dell’Università (Herbarium Universitatis Molisii), conservazione della biodiversità floristica regionale.
Campi di colture tipiche: in collaborazione con l’ARSIA Molise, recupero e valorizzazione delle essenze agro-alimentari locali. Educazione ambientale e turismo naturalistico: Il Giardino, che rappresenta un inestimabile bene per la comunità e il territorio dell’Alto Molise un’opportunità straordinaria di conoscenza del mondo delle piante, promuove l’educazione ambientale e il turismo naturalistico attraverso la realizzazione di percorsi didattici, visite guidate, eventi di divulgazione scientifica e il potenziamento della propria ricettività e fruibilità.
Per maggiori informazioni: http://www.giardinocapracotta.unimol.it/

GROTTA SAN NICOLA
La leggenda della Grotta del Diavolo
Sul monte San Nicola, tra Agnone e Capracotta, a circa 1500 metri di altitudine, si apre, in seno alla montagna, una grotta di origine quasi certamente sismica, famosa per le varie leggende suscitate nella fantasia popolare, sempre pronta a interpretazioni bizzarre della realtà.
Secondo una di queste, nella grotta si nascondevano preziosi tesori custoditi dal diavolo, il quale non permetteva a chicchessia di accostarsi e di entrare. Per chi osava varcare i confini proibiti della soglia, le punizioni erano terribili e spaventose.
La Grotta del Diavolo – Ingresso
Il coraggio è la virtù, tra due difetti: la codardia e la temerarietà.
Un giorno tre giovani, cosiddetti coraggiosi, incuranti del pericolo e avidi di ricchezza, decisero di tentare l’avventura in totale disprezzo delle note proibizioni. Come rito propiziatorio si recarono dal “magaro” per consultarlo e chiedere consigli. L’uomo, altrettanto avido, pensando alla grossa ricompensa in natura ricevuta e a ciò che avrebbe preteso poi, disse che erano necessarie tre cose per riuscire nell’impresa:
1) non avere mai paura e andare avanti sempre;
2) Non portare addosso croci, immaginette religiose, medaglie di santi e madonne;
3) Mai invocare il nome di Dio, qualunque cosa potesse accadere.
COMINCIA L’AVVENTURA
Grotta del Diavolo – Inizio dell’antro
I tre partirono, pieni di entusiasmo per l’impresa che, secondo loro, li avrebbe consegnati alla storia.
Con cautela entrarono nella grotta e iniziarono la discesa. Il terreno era sdrucciolevole e difficile da calpestare. Era buio e, man mano che procedevano, cercavano invano appigli per sostenersi. MA… c’è sempre un MA nelle storie … i lacci degli scarponi erano incrociati, dunque loro portavano addosso, senza saperlo, un simbolo proibito, cioè la croce.
All’improvviso, nell’oscurità più totale, cominciarono ad accendersi tante fiammelle che crepitavano, ondeggiavano, sparivano qua e ricomparivano là, più grandi, più piccole come tanti fuochi fatui che aleggiavano nel cunicolo oscuro e senza aria.
I giovani continuarono ad avanzare intrepidi, cercando di nascondere la paura che subdolamente cominciava a manifestarsi. Le fiamme diventavano sempre più grosse e numerose, tanto che il coraggio iniziale vacillò. Diventarono incerti e titubanti prima, poi furono assaliti dal terrore, mentre le fiamme paurosamente guizzanti come grossi serpenti avvolgevano ogni cosa. I giovani cominciarono a urlare, impazziti, mentre dalle viscere della terra saliva un rumore sordo come di tuono e la montagna, scossa dal terremoto, sussultava e ondeggiava paurosamente. Uno dei tre, senza riflettere e in preda al terrore, gridò: ” MADONNA MIA AIUTAMI!”
Grotta del Diavolo – Particolari delle pareti
A questa incauta invocazione, una scossa terribile squassò la grotta, le fiamme divamparono ancora più alte e fu uno sconvolgimento totale. I tre giovani furono scaraventati con violenza fuori della grotta e lanciati come missili lontano dal luogo tanto cercato. Quando ripresero conoscenza, doloranti e acciaccati, si accorsero che ognuno di loro era solo: dei compagni neanche l’ombra. Dove erano finiti? Quello che aveva fatto l’invocazione si ritrovò immerso nel pozzo nero della canonica di San Francesco in Agnone; il secondo era disteso in un campo presso il vescovado di Trivento, il terzo aggrappato ad una quercia del bosco di Caparreccia.
Svanite tutte le speranze di ricchezza, i poveracci ringraziarono la Madonna per non averli fatti morire; poi feriti e zoppicanti rientrarono nei luoghi di origine, ma non raccontarono a nessuno la loro triste avventura.
La notizia tuttavia trapelò, per cui, in seguito, nacque la leggenda che si diffuse per ogni dove.
La sfida
Mio padre, anni e anni dopo, raccolse la sfida: con alcuni amici ripercorse il cammino maledetto; un’entrata strettissima, massi sporgenti quasi a soffocare chi entra, poi un cammino sempre più ampio; una volta eccelsa con enormi pietre che pendevano dall’alto minacciose come stalattiti. Sembrava che tutti gli uomini coraggiosi potessero essere schiacciati da un momento all’altro. Certo, la grotta c’è, ma non il diavolo e non il tesoro.
Ancora oggi i ragazzi, incuranti del pericolo, si calano dentro. Più disincantati di fronte alla leggenda, vanno così per poter dire poi: “Anch’io sono sceso nella grotta del diavolo”.
Maria Delli Quadri
In collaborazione con l’Associazione Altosannio

SCULTURA EREMO CELESTINIANO
E’ questa la riproposizione di uno delle tanti eremi disseminati nel cuore della Maiella e … un omaggio di Capracotta ad uno dei figli più grandi dell’Alto Molise: Pietro Angelerio, diventato Papa con il nome di Celestino V.
La Croce Celestiniana, che schiaccia la testa del serpente, simboleggia la vittoria del bene sul male.
Tipi è l’acquasantiera, che raccogliendo da piccoli canali incisi nella roccia l’acqua piovana la fa debordare fino all’altezza della cerva con il suo cerbiatto nel segno di un forte rimando Biblico: “come la cerva anela ai corsi d’acqua così l’anima mia anela a Dio”.
In alto c’è il corvo che porta in bocca il pane all’eremita, secondo una tradizione biblica e Benedettina.
Nella roccia sono intagliati dei gradini per raggiungere la cella – altare con appigli per facilitare la salita.
Nell’altra parte che guarda Capracotta, la pietra inneggia alla civiltà della pastorizia, che Celestino V protesse, favorì e sviluppò.
(Settembre 2004)
Di Lorenzo Don Michele
L’INCONTRO TRA PAPA FRANCESCO E PAPA CELESTINO V
Molto spesso Papa Francesco ricorda la figura di Celestino V, il Papa della Perdonanza e dell’Umiltà, che rinunciò agli infiniti poteri che gli venivano attribuiti dalla Chiesa per tornare alla sua vita di eremita.
Papa Francesco sulle orme di Celestino V conduce una vita semplice, identificandosi nel Papa del Gran Rifiuto per il suo modo di pensare, di agire e di operare, ricordando ogni giorno ai popoli del mondo ed in particolare ai potenti della terra che per prima cosa bisogna soddisfare i bisogni dei più deboli, lontani dallo sfarzo delle ricchezze.
Questo è il messaggio che ci trasmette la scultura in alto rilievo su roccia, denominata “L’incontro tra Papa Francesco e Papa Celestino V”, un’opera d’arte che accomuna due grandi Uomini della Chiesa, predicatori di sani principi in cui si riconoscono non solo i credenti ma tutti coloro che si riconoscono nei principi di umiltà che Papa Francesco, sulla scia di Celestino V, ci ricorda in tutte le sue omelie.


LA SCUMMESSA DELLA GUARDATA
Capracotta è il simbolo più autentico della civiltà della transumanza che segnò per secoli l’Europa mediterranea, in particolare l’Appennino centro meridionale italiano dove antiche genti si spostavano tra pascoli di altura e di valle. Un andirivieni con soste inizialmente provvisorie e poi definitive in alloggi di pietra e legno. In fondo i blocchi sannitici, i tholos e le case moderne dell’odierna Capracotta, altro non sono che le tappe di un unico percorso evolutivo dei modelli organizzativi capaci di innovazioni e di autonomia, ovviamente dentro i limiti propri della montagna. Le qualità dei pascoli di Capracotta garantivano e garantiscono prodotti, carni e formaggi, di particolare prelibatezza.
La Guardata è un’area di circa 90 ettari – di cui circa 10 destinati al Giardino della Flora Appenninica – che si estende da Capracotta fino alle pendici di Monte Campo e Monte Ciglione. Nel passato ha rappresentato una delle zone più appetitose per gli allevatori, ed il giorno che veniva aperta al pascolo, cioè nel giorno in cui il Comune concedeva il permesso di accesso ai pascoli della Guardata, si svolgeva una vera e propria gara tra gli allevatori che cercavano di accaparrarsi l’angolo di Guardata ritenuto migliore rispetto ad altri, si “scommetteva la guardata”, così era definita questa “corsa” al pascolo, che pare avvenisse la prima domenica di maggio.