SORGENTE DEL MULO - TRE CONFINI - SOTTO IL MONTE

Il sentiero, passando nei pressi di un’azienda di allevamento di ovini, segue un percorso ben segnato fino alla Sorgente del Mulo dalla quale, passando attraverso prati falciati, si giunge alla strada carrareccia che coincide in parte con il sentiero 314. Appena dopo questo incrocio il 335 si dirama nel sentiero 335A che conduce all’Acqua Zolfa. Questa sorgente, ancora oggi perfettamente produttiva, già nota da tempi remoti, veniva sfruttata all’inizio del secolo scorso dai clienti dell’Albergo Quisisana di Capracotta per la cura di malattie della pelle.
Nel proseguire il 335 si raggiungono gli imponenti resti della Masseria di Maone, che ci ricorda di come queste contrade fossero una volta frequentare da innumerevoli persone dedite all’allevamento del bestiame.
Continuando il sentiero in salita si attraversano aree ricche di ginepri, di cespugli di Rosa Canina ed di resti di una florida civiltà agropastorale, fino a si giungere in località Tre Confini.
Nel continuare il percorso si raggiunge una stradina al servizio dell’impianto eolico di San Pietro Avellana, seguendola si arriva alla Strada Provinciale e svoltando a sinistra, dopo aver superato la Fonte Sotto il Monte si prosegue verso la lapide dei Fratelli Fiadino e poi verso Capracotta.
Punti d'interesse

IL PALAZZO BARONALE DI CAPRACOTTA
Il Palazzo Baronale di Capracotta, attuale municipio viene costruito nel XVI secolo come sede del potere baronale sul territorio durante la signoria della famiglia D’Eboli. In pratica era il palazzo baronale.
Non conosciamo la data precisa e il nome del barone. Esso, comunque, è realizzato al di fuori delle mura cittadine in un periodo di grande espansione economica, demografica e urbanistica di Capracotta: in quel secolo la cittadina esce fuori dagli angusti spazi della Terra Vecchia e si espande tutto’intorno.
Il Palazzo, nel corso dei secoli, è stato più volte oggetto di rifacimenti. Nel 1706 fu danneggiato dal terribile terremoto che colpì duramente Sulmona. Nel 1755, don Giacomo Capece Piscicelli succede nel titolo feudale di Duca di Capracotta al padre don Giuseppe. Provvede a ristrutturare per intero l’edificio. Il Palazzo vive il suo splendore, però, durante gli ultimi anni di vita della nuora del Duca Giacomo, Mariangela Rosa De Riso. Siamo agli inizi del 1800, durante il cosiddetto Decennio Francese (1804- 1814).
La Duchessa arreda le stanze con mobili dorati, accoglie gli intellettuali locali e vi organizza degli spettacoli comici per il sollazzo della popolazione. Con la fine del feudalesimo, il Palazzo viene venduto e da simbolo del potere feudale si trasforma nella sede del potere amministrativo della comunità cittadina.
Nel libro di Campanelli “Il territorio di Capracotta” del 1931, l’autore avanza l’ipotesi che il Palazzo Baronale possa essere stato costruito nel 1568 dal barone dell’epoca Gianvincenzo d’Ebulo al momento della sua successione al padre nel titolo feudale. In realtà, Campanelli traduce alla lettera la formula Castrum Capraecottae come castello (forte, rocca) di Capracotta, quindi il palazzo del barone, dimenticando (o non sapendo oppure sorvolando) che questa formula stava a indicare una cittadina dotata di mura, come sicuramente era Capracotta per quell’epoca.
Infine, sempre nella medesima opera e nella medesima pagina ancora Campanelli ricorda che nel 1667 c’è un accenno nel Libro delle Memorie al fatto che i cittadini si raccoglievano al pian terreno del palazzo in “pubblico parlamento” per discutere su importanti questioni.

LA BERTESCA DI PIAZZA DI TELLA
All’angolo di un palazzo di Piazza Di Tella, in cima al Colle, è visibile una sorta di “balconcino” con la parte inferiore a forma conica. Si tratta dei resti di una bertesca medioevale: un antico strumento militare difensivo realizzato sulla mura di edifici fortificati per respingere gli attacchi di eventuali assedianti. Nella “nostra” bertesca manca completamente la parte superiore in muratura che consentiva ai difensori di poter scagliare, dall’alto e in maniera protetta, frecce, pietre, sostanze infiammate o liquidi bollenti sui nemici.
La presenza di una bertesca sul Colle ci consente di retrodatare almeno al XIV – fine XV secolo l’uscita dell’abitato di Capracotta dal quartiere originario (chiuso nel Medioevo da mura) di Terra Vecchia, cioè l’attuale zona della Chiesa Madre. La nascita dell’artiglieria, a fine quattrocento rese infatti inutile il ricorso a questo tipo di elemento architettonico, sarebbe bastata una cannonata per farla cadere giù insieme a tutti i difensori.
Oggi, i resti della bertesca di Piazza Di Tella rappresentano forse il più antico “monumento” di Capracotta dopo le distruzioni operate dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale.
(Dr. Francesco Di Rienzo)

LAPIDE A RICORDO DEI FRATELLI FIADINO
Nei giorni dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943 innumerevoli prigionieri di guerra alleati, fuggiti approfittando della confusione dal campo di concentramento di “Fonte d’Amore” di Sulmona, vagavano per la campagna abruzzese e molisana.
Alcuni di loro arrivarono fino a Capracotta dove vennero aiutati dai fratelli Fiadino. Una spia comunicó la notizia ai Tedeschi che arrestarono e condannarono a morte i tre fratelli. Mentre venivano trasferiti a Capracotta, Alberto, uno dei tre, saltò giù dalla camionetta e riuscì a fuggire. Gasperino e Rodolfo, invece, furono portati in località “sotto il monte” e fucilati.
A Capracotta esiste una lapide che ricorda l’eroismo dei fratelli Fiadino. Si trova proprio nel luogo dell’esecuzione.
Scarica il pdf del 70° Annivesario della distruzione di Capracotta (8Mb)

TRATTURELLO
Il tratturello è la strada secondaria di un tratturo.
Può essere definito un sentierominore, anch’esso di origine preistorica, in terra battuta, utilizzato per lo smistamento del passaggio degli armenti durante la transumanza.
La larghezza della sede del tracciato varia tra i 37, 27 e 18 metri.
Ha la funzione di collegare un territorio ad un tratturo oppure quella di raccordo tra più tratturi.
I tratturelli sono particolarmente diffusi sugli Appennini centro meridionali e fino agli anni cinquanta del XX secolo servivano per la transumanza delle greggi verso la Puglia
La progressiva espansione delle strade asfaltate ne sta determinando la scomparsa.
Esistono progetti di tutela e valorizzazione da parte della Sovrintendenza Archeologica.

SORGENTE DEL MULO
La sorgente del mulo o la Fonte del Mulo è un abbeveratoio per bestiame.
MUSEO DELLA CIVILTA’ CONTADINA E DEI VECCHI MESTIERI
Il museo è una tappa del paese da non perdere che affascina il visitatore attraverso un piccolo viaggio guidato nella memoria e nel ricordo del passato, dove viene riproposta la vita quotidiana, cioè quella densa di sacrifici, da un lato, ma anche di momenti di grande calore e condivisione dei nostri nonni e bisnonni.
Pezzi in disuso, strumenti di lavoro e della quotidianità, tutti autentici e talvolta rari, patrimonio di una società ancora fortemente legata alle sue antiche origini, sono esposti, con cura, nelle sale del museo, allestito al pianterreno del Palazzo Baronale, oggi sede del Municipio che nel passato ha ospitato le varie famiglie feudali che si sono succedute nel territorio di Capracotta.
Per la realizzazione di questo museo va un grazie speciale non solo all’Amministrazione Comunale che lo ha realizzato, scegliendo dei locali, che riportati alla loro originale struttura, hanno contribuito a rendere ancora più accogliente e suggestiva questa passeggiata nel passato, ma anche al Signor Loreto Di Nucci che ha iniziato un paziente lavoro di ricerca e di raccolta di vecchi oggetti utilizzati nelle attività agricole ed artigianali legate alla vita capracottese, affinché non andassero perduti e, agli abitanti residenti nel paese e non, che hanno contribuito ad arricchirlo donando oggetti che si sono tramandati e che custodiscono gelosamente nelle proprie case, legati al mondo contadino di ieri e per, alcuni aspetti, di oggi. Le caratteristiche dello spazio espositivo e i criteri di allestimento consentono un’agevole visita. Di attrezzi e di oggetti in genere ce ne sono davvero tanti, ognuno testimone di arti manuali tramandate di generazione in generazione che hanno fatto la storia del nostro paese. Inoltre sembra quasi che ogni attrezzo rechi, ancora oggi, le impronte delle mani di chi li ha costruiti, utilizzati, riparati e tramandati. Quindi, da ciò, è facile dedurre che dietro ciascun oggetto c’è una storia, anzi, sono gli oggetti la storia stessa che si dipana come una tessitura fatta di povertà. Ogni oggetto è stato prima catalogato e poi identificato da un cartellino su cui è scritto sia il nome in dialetto capracottese che in italiano (così tutti possono capire di cosa si tratta e a cosa servivano), sia il nome della persona o della famiglia che lo ha donato al museo. Da subito i visitatori hanno capito ed apprezzato l’intento della responsabile del museo cioè quello di offrire a coloro che lo visitano scorci di vita contadina che hanno caratterizzato, da sempre, l’uomo capracottese mantenendo viva la memoria delle tradizioni e della storia capracottese, facendo fare a tutti un bellissimo tuffo nel passato … Il percorso è stato concepito come un immaginario viaggio nel passato attraverso le principali fasi della vita del popolo capracottese ben documentate da oggetti, fotografie, ecc…, esposti nel museo.
Varcata la porta d’ingresso si può da subito ammirare l’antica muratura in pietra arricchita di archi di una precisione millimetrica, ritornata alla luce grazie ad un intervento di restauro, che ha consentito di riproporre, all’attenzione e alla curiosità dei visitatori, un esempio di edilizia abitativa locale, testimonianza di un modo di lavorare che appartengono da sempre alla comunità capracottese.
Gli spazi espositivi racchiudono i più svariati oggetti che testimoniano, anzi raccontano, in maniera molto chiara, come si svolgevano le varie attività agricole e artigianali che da sempre hanno fatto parte della vita quotidiana e lavorativa del popolo capracottese e che oggi, sono scomparse del tutto o quasi. Strumenti di lavoro di altri tempi, necessità quotidiane dei pastori, dei contadini, delle donne e degli artigiani (falegnami, calzolai,sarti, fabbri, ecc…), sono esposti con cura nelle sale dove è allestita la mostra.
All’ingresso, su entrambi i lati, troviamo due manichini che indossano i costumi tradizionali capracottesi e sulle spalle la donna ha appoggiato uno scialle mentre l’uomo il classico tabarro (“cuappott a rota” in dialetto capracottese). Proseguendo troviamo una sala con sedie adatta per convegni, per la presentazione di libri, ecc…. Qui è possibile ammirare l’antico meccanismo che faceva muovere le lancette dell’orologio posto sull’antica Torre dell’Orologio che, al contrario è stata demolita nel 1970 ed è stata riprodotta in miniatura per far vedere come era strutturata. Completano la sala alcuni documenti antichi come la lettera di Giuseppe Garibaldi inviata alla Società di Mutuo Soccorso di Capracotta ed alcune lettere di un emigrante capracottese e articoli di giornali del 1950, entrambi, risalenti al periodo in cui fu donato lo “Spazzaneve Clipper” al paese.
Tali oggetti, ben combinati nel percorso, rievocano il lavoro degli uomini dediti al pascolo, alla preparazione del formaggio e della ricotta e alla cura della terra; accanto, ai quali, ci sono altri numerosi attrezzi che ricordano, nella memoria, gli antichi mestieri del tempo e i vari momenti di lavoro che venivano svolti durante l’arco della giornata. Altri spazi sono riservati al calzolaio e al falegname, dove sono visibili arnesi dimenticati dalle moderne tecnologie e che mostrano i ritmi e le consuetudini degli artigiani di un tempo. Un altro spazio ospita l’arte femminile dove vi sono esposti alcuni attrezzi della tessitura.
Sono visibili, in un altro spazio del Museo, varietà di ceste di vimini di varie grandezze, setacci, ecc…, utili ed indispensabili alla pulizia del grano e alla lavorazione della farina. Infine, un angolo è stato dedicato alla neve, da sempre, amica e nemica dei capracottesi.
In sintesi, all’interno del museo, sono presenti oggetti appartenuti alla vita pastorale, contadina e artigiana del popolo capracottese, che hanno subito mutamenti nel loro percorso di trasformazione avvenuti nei secoli successivi. Essi, inoltre, ne hanno segnato il passaggio da testimonianze reali e materiali, in generale e nello specifico, di forme di lavoro e di vita domestica non più attuali, a reperti da raccogliere, conservare, catalogare ed esporre in spazi museali (come nel nostro caso), nei quali, i visitatori possono ritrovare i segni della propria identità e riconoscerne, sotto tutti i punti di vista, le proprie origini.
La vita quotidiana di un museo è data dall’insieme di molte attività, spesso disparate nei modi in cui si realizzano e che sembrano svolgersi in direzioni diverse: la conservazione, la tutela, la risistemazione di alcuni oggetti, l’esposizione nelle varie sale, la cura, la catalogazione e la ricerca del materiale. In realtà il lavoro che si svolge dietro le quinte di un museo della civiltà contadina, si sforza sempre di raggiungere un unico obiettivo: conoscere e affermare la nostra identità culturale e rendere partecipe la gente che la storia di chi ci ha preceduti è la nostra storia. Per questo il museo vuole dialogare con i visitatori raccontando la sua “vita quotidiana” come se stessimo sfogliando un album di famiglia.
(A cura di Emilia Mendozzi)

ACQUA ZOLFA
Sorgente di acqua solfurea che scende dalle alture di Capracotta in un susseguirsi di cascatelle, per confluire nel fiume Sangro.
Nei decenni passati queste acque venivano utilizzate per la cura delle malattie della pelle, specialmente dagli ospiti dell’Hotel Quisisana di Capracotta.

FONTE SOTTO IL MONTE
Fontanile – abbeveratoio in Località Sotto il Monte al quale arrivano acque dalle pendici di Monte Capraro.
