E-Escursionisti

Difficoltà

5,84 km

lunghezza

159 mt

Dislivello

Circa 2h 30m

Tempo di Percorrenza

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SOTTO IL MONTE - LA CROCETTA - FONTE LA NETTA

Partendo da Piazza Falconi, come prima tappa si raggiunge il Santuario della Madonna di Loreto, e dopo averlo visitato ed aver ammirato il panorama della Valle del Sangro a nord e della Valle del Verrino a sud, ci si sofferma qualche momento al Monumento all’Emigrante ed appena dopo alla Pineta del Ricordo.
sentiero 332

Dalla Località Sotto il Monte (Bivio Strada Provinciale Montesangrina), il sentiero 332 si snoda parallelamente alla sottostante Strada Provinciale.

Questo sentiero si sviluppa alle pendici di Monte Capraro con una dolce pendenza e attraversando prati, da cui si gode di una vista notevole, si ha la possibilità di incontrare greggi al pascolo e resti di insediamenti agro-pastorali, infatti sono visibili un Tolos e un abbeveratoio.

Il percorso incrocia la strada carrareccia che conduce alla Località La Crocetta che si deve percorrere fino a giungere all’omonimo passo.

Nelle immediate vicinanze della Fonte Sambuco si trova il Casotto di Nunnarosa, che ci ricorda la triste vicenda dei Fratelli Fiadino, che ospitarono durante la seconda guerra mondiale alcuni soldati fuggiaschi appartenenti alle forze alleate e per questo “reato” due fratelli Rodolfo e Gasperino Fiadino furono fucilati nel novembre del 1943 dai Tedeschi.

Superata la Fonte Sambuco si incrocia il Vallone delle Incotte. Seguendo in salita il Vallone in un ambiente caratteristico per la sua natura molto selvaggia, si raggiunge l’Anello di Valle delle piste di sci di fondo di Prato Gentile (Sentiero 309).

Da qui si sale verso la croce in ferro, posta a metà del secolo scorso a devozione e dopo poche centinaia di metri si raggiunge il Coppo della Madonna, luogo dove da qualche anno nel mese di agosto si tiene il Concerto Musica ad Alta Quota grazie all’ottima acustica della conca.

Si arriva a Monte Cavallerizzo e procedendo verso la cima si resta sorpresi dalla presenza di resti ben visibili di Mura Sannitiche, memorie della storia di questo territorio
Dopo aver visitato questo posto così ricco di storia, costeggiando le Coste Acereta, da cui sono visibili splendidi panorami e percorrendo un bellissimo bosco formato da faggi di alto fusto, si scende fino ad arrivare alla Fonte della Netta.

Percorrendo poche decine di metri si giunge alla Strada Provinciale Montesangrina e da qui si può fare rientro a Capracotta o andare per altri sentieri.

Punti d'interesse

Palazzo Baronale
IL PALAZZO BARONALE DI CAPRACOTTA

Il Palazzo Baronale di Capracotta, attuale municipio viene costruito nel XVI secolo come sede del potere baronale sul territorio durante la signoria della famiglia D’Eboli. In pratica era il palazzo baronale.

Non conosciamo la data precisa e il nome del barone. Esso, comunque, è realizzato al di fuori delle mura cittadine in un periodo di grande espansione economica, demografica e urbanistica di Capracotta: in quel secolo la cittadina esce fuori dagli angusti spazi della Terra Vecchia e si espande tutto’intorno.

Il Palazzo, nel corso dei secoli, è stato più volte oggetto di rifacimenti. Nel 1706 fu danneggiato dal terribile terremoto che colpì duramente Sulmona. Nel 1755, don Giacomo Capece Piscicelli succede nel titolo feudale di Duca di Capracotta al padre don Giuseppe. Provvede a ristrutturare per intero l’edificio. Il Palazzo vive il suo splendore, però, durante gli ultimi anni di vita della nuora del Duca Giacomo, Mariangela Rosa De Riso. Siamo agli inizi del 1800, durante il cosiddetto Decennio Francese (1804- 1814).

La Duchessa arreda le stanze con mobili dorati, accoglie gli intellettuali locali e vi organizza degli spettacoli comici per il sollazzo della popolazione. Con la fine del feudalesimo, il Palazzo viene venduto e da simbolo del potere feudale si trasforma nella sede del potere amministrativo della comunità cittadina.

Nel libro di Campanelli “Il territorio di Capracotta” del 1931, l’autore avanza l’ipotesi che il Palazzo Baronale possa essere stato costruito nel 1568 dal barone dell’epoca Gianvincenzo d’Ebulo al momento della sua successione al padre nel titolo feudale. In realtà, Campanelli traduce alla lettera la formula Castrum Capraecottae come castello (forte, rocca) di Capracotta, quindi il palazzo del barone, dimenticando (o non sapendo oppure sorvolando) che questa formula stava a indicare una cittadina dotata di mura, come sicuramente era Capracotta per quell’epoca.

Infine, sempre nella medesima opera e nella medesima pagina ancora Campanelli ricorda che nel 1667 c’è un accenno nel Libro delle Memorie al fatto che i cittadini si raccoglievano al pian terreno del palazzo in “pubblico parlamento” per discutere su importanti questioni.

Scarica il PDF “Il Territorio di Capracotta” (24,5MB)

La Bertesca
LA BERTESCA DI PIAZZA DI TELLA

All’angolo di un palazzo di Piazza Di Tella, in cima al Colle, è visibile una sorta di “balconcino” con la parte inferiore a forma conica. Si tratta dei resti di una bertesca medioevale: un antico strumento militare difensivo realizzato sulla mura di edifici fortificati per respingere gli attacchi di eventuali assedianti. Nella “nostra” bertesca manca completamente la parte superiore in muratura che consentiva ai difensori di poter scagliare, dall’alto e in maniera protetta, frecce, pietre, sostanze infiammate o liquidi bollenti sui nemici.

La presenza di una bertesca sul Colle ci consente di retrodatare almeno al XIV – fine XV secolo l’uscita dell’abitato di Capracotta dal quartiere originario (chiuso nel Medioevo da mura) di Terra Vecchia, cioè l’attuale zona della Chiesa Madre. La nascita dell’artiglieria, a fine quattrocento rese infatti inutile il ricorso a questo tipo di elemento architettonico, sarebbe bastata una cannonata per farla cadere giù insieme a tutti i difensori.
Oggi, i resti della bertesca di Piazza Di Tella rappresentano forse il più antico “monumento” di Capracotta dopo le distruzioni operate dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale.

(Dr. Francesco Di Rienzo)

MURA SANNITICHE

Il territorio di Capracotta in epoca protostorica (età del ferro) ha visto nascere una Nazione che non ebbe eguali nella storia: quella Sannita. La valle del verrino con gli attuali comuni di Agnone e Pietrabbondante, e la Valle del Sente, con Castiglione e Schiavi; fu questa la culla della comunità genetica della Nazione federata più potente d’Italia dal Vi al IV secolo a.C., la potenza che Roma dovette affrontare per strutturarsi e grazie alla quale potè diventare impero.

La “sella” appenninica dove oggi si adagia Capracotta, è uno dei più importanti valichi appenninici, tra centro e sud della penisola insieme a Rionero Sannitico, del Guado 7 Porte e di San Pietro Avellana. Tutti guardati da cinte murarie megalitiche antichissime (dette pelasgiche) sulle quali si adagiarono successivamente quelle sannitiche. Sin dalle origini della pastorizia, chi controllava questi valichi controllava traffici di animali e uomini vitali per ogni tribù appenninica che volesse possedere un certo quantitativo di animale e, dunque, essere ricca e potente.
I ritrovamenti archeologici citati normalmente dalle guide turistiche sono importanti ma sono ben poca cosa rispetto alla enormità di reperti sepolti e affioranti tra Guado Liscia, Monte Cerro, Monte San Nicola, Monte Campo, Guastra, Monte Forte, Civitelle di Agnone ecc.

Tutto sepolto, sconosciuto, ignorato.

Qui nacque la Nazione e qui, dopo trecento anni di lotte per la libertà, accade il genocidio e, con esso, la cancellazione di queste terre dalla storia, così come volle Lucio Cornelio Silla. Il dittatore romano tentò con tutti i mezzi – e vi riuscì in gran parte – di far dimenticare i nomi dei luoghi e dei Monti che avevano generato la formidabile stirpe che aveva umiliato Roma e che, più volte in tre secoli, aveva messo in forse persino la sua esistenza.
Un popolo che amò la liberta più della stessa sua sopravvivenza. Una Nazione che meriterebbe oggi di risorgere nella memoria almeno di quanti hanno avuto la fortuna di vedere la luce nei medesimi, meravigliosi luoghi che tennero a battesimo la sua potenza.

(Dr. Nicola Mastronardi

Scarica il PDF La Tavola Osca, di Filippo Di Tella (11,9MB)

LA CROCETTA

Tra Monte Capraro e Monte Cavallerizzo vi è un passo detto La Crocetta (1.458 m. s.l.m.) che da sempre è stato punto di grande importanza per la viabilità rurale del territorio capracottese e territori limitrofi.

Il suo nome deriva da una croce viaria posta già agli inizi del 1900 a devozione della Madonna di Loreto.

Punto di incrocio di diversi importanti sentieri che si snodano su Monte Capraro e le altre cime vicine.

Qui giunge il sentiero Italia per poi proseguire in agro di Vastogirardi.

COPPO DELLA MADONNA

Coppo della Madonna è una località ad alta quota, un anfiteatro naturale, molto noto per una perfetta acustica e dove si svolgono da più anni dei concerti, definiti di “alta quota”.

Don Geremia Carugno ci ricorda che secondo una tradizione costante e non smentita, al di là delle leggenda la Statua della Madonna di Loreto fu rinvenuta in località Vallesorda, nel luogo conosciuto come “Cuopp de la Madonna” dove aveva sede un Monastero benedettino.

E’ difficile rispondere al come, cioè se la Statua fu rivenuta per caso, se fu richiesta a quei monaci ed eventualmente donata, se abbandonata insieme al Monastero per le frequenti scorribande dei briganti. Comunque sia, sta di fatto che da Vallesorda la Statua si trovò a Capracotta in quella che sarebbe stata la sua Chiesa per sempre.

PESCO BERTINO
Questa località è stata per molto tempo luogo di scampagnate per i capracottesi attratti dalla sua ubertosità, effetto di una ricca sorgente di acqua oggi captata dal comune di San Pietro Avellana.
MUSEO DELLA CIVILTA’ CONTADINA E DEI VECCHI MESTIERI

Il museo è una tappa del paese da non perdere che affascina il visitatore attraverso un piccolo viaggio guidato nella memoria e nel ricordo del passato, dove viene riproposta la vita quotidiana, cioè quella densa di sacrifici, da un lato, ma anche di momenti di grande calore e condivisione dei nostri nonni e bisnonni.

Pezzi in disuso, strumenti di lavoro e della quotidianità, tutti autentici e talvolta rari, patrimonio di una società ancora fortemente legata alle sue antiche origini, sono esposti, con cura, nelle sale del museo, allestito al pianterreno del Palazzo Baronale, oggi sede del Municipio che nel passato ha ospitato le varie famiglie feudali che si sono succedute nel territorio di Capracotta.

Per la realizzazione di questo museo va un grazie speciale non solo all’Amministrazione Comunale che lo ha realizzato, scegliendo dei locali, che riportati alla loro originale struttura, hanno contribuito a rendere ancora più accogliente e suggestiva questa passeggiata nel passato, ma anche al Signor Loreto Di Nucci che ha iniziato un paziente lavoro di ricerca e di raccolta di vecchi oggetti utilizzati nelle attività agricole ed artigianali legate alla vita capracottese, affinché non andassero perduti e, agli abitanti residenti nel paese e non, che hanno contribuito ad arricchirlo donando oggetti che si sono tramandati e che custodiscono gelosamente nelle proprie case, legati al mondo contadino di ieri e per, alcuni aspetti, di oggi. Le caratteristiche dello spazio espositivo e i criteri di allestimento consentono un’agevole visita. Di attrezzi e di oggetti in genere ce ne sono davvero tanti, ognuno testimone di arti manuali tramandate di generazione in generazione che hanno fatto la storia del nostro paese. Inoltre sembra quasi che ogni attrezzo rechi, ancora oggi, le impronte delle mani di chi li ha costruiti, utilizzati, riparati e tramandati. Quindi, da ciò, è facile dedurre che dietro ciascun oggetto c’è una storia, anzi, sono gli oggetti la storia stessa che si dipana come una tessitura fatta di povertà. Ogni oggetto è stato prima catalogato e poi identificato da un cartellino su cui è scritto sia il nome in dialetto capracottese che in italiano (così tutti possono capire di cosa si tratta e a cosa servivano), sia il nome della persona o della famiglia che lo ha donato al museo. Da subito i visitatori hanno capito ed apprezzato l’intento della responsabile del museo cioè quello di offrire a coloro che lo visitano scorci di vita contadina che hanno caratterizzato, da sempre, l’uomo capracottese mantenendo viva la memoria delle tradizioni e della storia capracottese, facendo fare a tutti un bellissimo tuffo nel passato … Il percorso è stato concepito come un immaginario viaggio nel passato attraverso le principali fasi della vita del popolo capracottese ben documentate da oggetti, fotografie, ecc…, esposti nel museo.

Varcata la porta d’ingresso si può da subito ammirare l’antica muratura in pietra arricchita di archi di una precisione millimetrica, ritornata alla luce grazie ad un intervento di restauro, che ha consentito di riproporre, all’attenzione e alla curiosità dei visitatori, un esempio di edilizia abitativa locale, testimonianza di un modo di lavorare che appartengono da sempre alla comunità capracottese.

Gli spazi espositivi racchiudono i più svariati oggetti che testimoniano, anzi raccontano, in maniera molto chiara, come si svolgevano le varie attività agricole e artigianali che da sempre hanno fatto parte della vita quotidiana e lavorativa del popolo capracottese e che oggi, sono scomparse del tutto o quasi. Strumenti di lavoro di altri tempi, necessità quotidiane dei pastori, dei contadini, delle donne e degli artigiani (falegnami, calzolai,sarti, fabbri, ecc…), sono esposti con cura nelle sale dove è allestita la mostra.

All’ingresso, su entrambi i lati, troviamo due manichini che indossano i costumi tradizionali capracottesi e sulle spalle la donna ha appoggiato uno scialle mentre l’uomo il classico tabarro (“cuappott a rota” in dialetto capracottese). Proseguendo troviamo una sala con sedie adatta per convegni, per la presentazione di libri, ecc…. Qui è possibile ammirare l’antico meccanismo che faceva muovere le lancette dell’orologio posto sull’antica Torre dell’Orologio che, al contrario è stata demolita nel 1970 ed è stata riprodotta in miniatura per far vedere come era strutturata. Completano la sala alcuni documenti antichi come la lettera di Giuseppe Garibaldi inviata alla Società di Mutuo Soccorso di Capracotta ed alcune lettere di un emigrante capracottese e articoli di giornali del 1950, entrambi, risalenti al periodo in cui fu donato lo “Spazzaneve Clipper” al paese.

Tali oggetti, ben combinati nel percorso, rievocano il lavoro degli uomini dediti al pascolo, alla preparazione del formaggio e della ricotta e alla cura della terra; accanto, ai quali, ci sono altri numerosi attrezzi che ricordano, nella memoria, gli antichi mestieri del tempo e i vari momenti di lavoro che venivano svolti durante l’arco della giornata. Altri spazi sono riservati al calzolaio e al falegname, dove sono visibili arnesi dimenticati dalle moderne tecnologie e che mostrano i ritmi e le consuetudini degli artigiani di un tempo. Un altro spazio ospita l’arte femminile dove vi sono esposti alcuni attrezzi della tessitura.

Sono visibili, in un altro spazio del Museo, varietà di ceste di vimini di varie grandezze, setacci, ecc…, utili ed indispensabili alla pulizia del grano e alla lavorazione della farina. Infine, un angolo è stato dedicato alla neve, da sempre, amica e nemica dei capracottesi.

In sintesi, all’interno del museo, sono presenti oggetti appartenuti alla vita pastorale, contadina e artigiana del popolo capracottese, che hanno subito mutamenti nel loro percorso di trasformazione avvenuti nei secoli successivi. Essi, inoltre, ne hanno segnato il passaggio da testimonianze reali e materiali, in generale e nello specifico, di forme di lavoro e di vita domestica non più attuali, a reperti da raccogliere, conservare, catalogare ed esporre in spazi museali (come nel nostro caso), nei quali, i visitatori possono ritrovare i segni della propria identità e riconoscerne, sotto tutti i punti di vista, le proprie origini.

La vita quotidiana di un museo è data dall’insieme di molte attività, spesso disparate nei modi in cui si realizzano e che sembrano svolgersi in direzioni diverse: la conservazione, la tutela, la risistemazione di alcuni oggetti, l’esposizione nelle varie sale, la cura, la catalogazione e la ricerca del materiale. In realtà il lavoro che si svolge dietro le quinte di un museo della civiltà contadina, si sforza sempre di raggiungere un unico obiettivo: conoscere e affermare la nostra identità culturale e rendere partecipe la gente che la storia di chi ci ha preceduti è la nostra storia. Per questo il museo vuole dialogare con i visitatori raccontando la sua “vita quotidiana” come se stessimo sfogliando un album di famiglia.

(A cura di Emilia Mendozzi)

SANTUARIO DELLA MADONNA DI LORETO

Di certo è che il Santuario della Madonna di Loreto è un tutt’uno con la storia di Capracotta, in particolare con la tradizione della transumanza che per secoli ha interessato la nostra comunità.

Da Capracotta partivano i nostri pastori per svernare con le greggi in Puglia. Fu così intenso questo fenomeno che nel primo Seicento, precisamente nel 1602, all’interno della Chiesa del Carmine di Canosa di Puglia, venne costruito un altare con sepolture assegnate ai pastori di Capracotta, come attestano molte registrazioni riportate sui Libri dei Morti, custoditi nell’archivio prevostale della Cattedrale di San Sabino in Canosa. Nei secoli passati i morti venivano seppelliti nelle Chiese e certamente erano così tanti i nostri pastori che morivano durante la loro permanenza in Puglia, che a loro fu dedicato uno specifico luogo di sepoltura. infinita è la fede che i capracottesi da secoli hanno sempre manifestato nei confronti della Madonna di Loreto, una delle Statue lignee di cui è ricco non solo il Molise ma anche la regione Puglia.

Religiosità e transumanza

Capracotta, si sa, rimane uno dei simboli forti della civiltà della transumanza dell’Europa mediterranea.
I segni ci sono tutti: i prodotti, le sagre, le usanze, i trulli inseriti tra le pieghe della montagna come in un museo a cielo aperto. Lo stesso paese, nella composizione e nel carattere, rimane una sorta di icona tra due santuari storici della transumanza: il santuario di Cerere, di Fonte del Romito, e la chiesa di Santa Maria di Loreto, sul lato opposto.
Com’è noto, nel santuario (ampio giardino sacro) dedicato a Cerere i pastori transumanti tra le aree costiere della Frentania e quelle interne pagavano la tassa (vectigal) per poter trascorrere l’estate sui monti del Sannio dei Pentri; tassa che il santuario percepiva per conto dello stato, proprietario dell’ager populi Samnitis destinato a pascolo (A. La Regina, Istituzioni agrarie italiche, Cosmo Iannone Editore, 1999). Il santuario aveva una propria legge sacra con 15 divinità, riti e Decumanii (concessionari del suolo pubblico) incisi nella nota Tavola Osca, sorta di “locandina” di bronzo affissa con chiodo alle pareti, rinvenuta nel secolo XIX tra i ruderi e conservata al British Museum di Londra. Questo antico santuario aveva funzioni riferite anche all’agricoltura, come si evince dalla stessa “titolare” Cerere, dea delle messi, assistita da un folto nucleo di dee minori specializzate e da poche divinità maschili, tra cui i due Giove, uno addetto a regolare la pioggia e l’altro a seguire la crescita dello stelo.

Tanti secoli dopo la chiesa di Santa Maria o Madonna di Loreto si collocherà ugualmente dentro il grande fenomeno della transumanza, ma con funzione principale di protezione divina e di azienda armentizia. Ad esigere la tassa, detta “fida”, provvedeva questa volta la Dogana della mena delle pecore di Puglia, istituzione amministrativa, economica e giudiziaria con sede definitiva a Foggia.
La Madonna di Loreto, che oggi protegge gli aviatori lungo le rotte del cielo, a Capracotta era venuta a proteggere i pastori con le greggi nel loro andare per essere tra i monti molisani e il Tavoliere di Puglia e viceversa. Su una pianta dei tratturi un’altra chiesetta dedicata a Santa Maria di Loreto figura alle porte di Foggia. Le antiche piste erbose del tempo di Cerere, nel XVI secolo erano diventate vie larghe come autostrade e andavano dall’alto Abruzzo al Golfo di Taranto intersecate da tratturelli e bracci per coprire a rete il territorio ed assicurare pari opportunità di intrapresa ovunque. Si trattava di vie speciali, organizzate e controllate, ma pur sempre esposte a pericoli di vario genere rispetto ai quali con la nuova religione cristiana la Madonna rimaneva la grande protettrice nelle versioni popolari di “Incoronata” e di “Santa Maria di Loreto”.

L’Eremo

Prima della grande transumanza moderna la chiesa era un eremo mal ridotto, come si leggeva sulla soglia dopo i lavori che nel 1622 la fecero “noviter e ampliata”; cioè nuova e ingrandita per rispondere adeguatamente alla crescita del settore avviata dagli aragonesi nel XV secolo. Tale rilancio aveva elevato anche a Capracotta il numero dei pastori che in partenza o in arrivo avevano come punto di riferimento gli spazi antistanti la chiesetta a qualche chilometro dal paese.

Dinanzi alla chiesa, infatti, in autunno i pastori provenienti dai monti circostanti si preparavano e partivano per la Puglia. E nello stesso posto sostavano al rientro in primavera, riabbracciando parenti ed amici prima di risalire le vette e trascorrervi l’estate. Due incontri che suscitavano profonde emozioni, come si evince dai racconti d’epoca: “Qui i pastori si accomiatavano dalle donne, le quali recavan loro i fardelli del vestiario e delle prime provviste alimentari da porre sulle bestie da soma, e che, dopo gli ultimi addii raccomandavano nella preghiera l’incolumità dei cari partenti.

Nello stesso luogo questi sostavano al ritorno sul finire della primavera per rientrare contenti nei modesti abituri, e da tutti si rendevan grazie alla Vergine.”Il rito, continuano i testi, destò un “sommo fervore di fede” da parte degli abitanti verso la Madonna da indurre questi “non soltanto ad ergerle il tempio, ma a profonderle copiose e svariate donazioni”.

PINETA DEL RICORDO

I pini di questa pineta sono 63. Furono piantati tra le due guerre, in ricordo dei capracottesi caduti durante il primo conflitto mondiale (1914 – 1918). La grande guerra fu un trauma, che trasformò l’Europa in una gigantesca comunità di gente in lutto. Una comunità che si sforzò, come testimonia questa pineta, di elaborare il lutto mantenendo in vita il ricordo dei caduti. Non vi era donna, infatti, che non avesse perduto un figlio, un marito, un padre o un fratello.

A sostenere lo sforzo bellico dell’Italia furono, in larga misura, i fanti – contadini meridionali. Erano uomini robusti, coraggiosi, abituati da sempre a fronteggiare le difficoltà e le avversità della vita, ma anche i più stoici fra loro furono messi a dura prova dalla guerra di trincea. Molti combattenti impazzivano, o si fingevano pazzi, oppure di mutilavano o disertavano. Stando ai numeri, i fanti – contadini di Capracotta sembrano essere rimasti ai loro posti.

Le speranze dei primi mesi di pace non durarono a lungo perché la guerra portò con sé anche i regimi totalitari del XX secolo, bolscevismo, fascismo e nazionalsocialismo. Non sbagliava, inoltre, il papa Benedetto XV quando aveva parlato della prima guerra mondiale come di una “inutile strage”. Di lì a qualche anno ricominciarono infatti a soffiare i venti di guerra, e nel settembre del 1939 scoppiò il secondo conflitto mondiale. La pace durò così poco che le due guerre finirono per sembrare una sola, una nuova e più devastante guerra dei trent’anni.

(Prof. Loreto Di Nucci)

MONUMENTO ALL’EMIGRANTE

E’ stata una festa meravigliosa. Tutto il paese s’è stretto attorno ai sessanta emigranti giunti dagli Stati Uniti, dal Canada e da altri paesi europei per partecipare alla inaugurazione del monumento e salutare con un applauso caloroso ed interminabile i bronzi dedicati agli emigranti capracottesi sistemati in un angolo della pinetina di fronte al Santuario della Madonna di Loreto. Il tutto s’è concretizzato intorno alle ore tredici alla presenza delle massime autorità politiche, militari e religiose: il cardinale degli Stati Uniti Bernard Francis Law, il vescovo della Diocesi di Trivento Domenico Scotti, il sindaco di Burlington (USA) Darlene Scocca Comegno, il vice console americano, il presidente delle Regione Molise Michele Iorio, l’assessore regionale Angelo Iapaolo, naturalmente il sindaco di Capracotta Antonio Monaco, tutti gli Amministratori locali e il parroco Don Elio Venditti.

Subito dopo l’inaugurazione e la benedizione del manufatto ci sono stati gli interventi del sindaco Antonio Monaco, del sindaco di Burlington Darlene Scocca Comegno, del viceconsole americano, di Joseph Paglione promotore di questo monumento a Capracotta e del presidente della regione Molise Michele Iorio. In particolare il sindaco ha rivolto parole di ringraziamento ai capracottesi d’America precisando così la sua gratitudine: “Intendo ringraziare i nostri emigranti, i nostri concittadini che vivono e lavorano con prosperità in ogni parte del mondo. Essi hanno contribuito alla crescita economica e sociale dei paesi che li hanno accolti e, sempre loro, con il ricordo sempre vivo che portano nei loro cuori della terra natia, oggi hanno voluto questa cerimonia che ha portato all’inaugurazione del monumento all’emigrante. L’iniziativa partita dal comitato “capracottesi nel mondo” oggi raggiunge il proprio obiettivo e tutta la comunità capracottese ne è fiera”.

Molto commovente anche l’intervento di Joseph Paglione che ha comunicato sia in lingua inglese sia in lingua italiana il significato di questo monumento e la gioia di vivere questo momento di festa con tutta la Comunità di Capracotta.

Ha chiuso gli interventi Gabriele Mosca con la declamazione di una sua poesia in dialetto capracottese intitolata “annieante alla madonna”. Come previsto dal programma sono seguite altre due cerimonie dedicate entrambe alla intitolazione di due strade cittadine. La prima e cioè quel tratto di strada che va dalla Madonna di Loreto all’ingresso del paese è stata chiamata Viale dell’Emigrante.

La seconda e cioè quella strada che fiancheggia l’ex area pioppi e gira intorno alle villette di recente costruzione è stata dedicata a Giovanni Paolo II. La festa è proseguita in serata con l’esibizione musicale nella Chiesa Madre del concerto bandistico Città di Lanciano che ha allietato la serata con la Traviata e la Norma. Queste tre manifestazioni va ricordato sono state solo l’epilogo di un nutrito programma di festeggiamenti e di onoranze riservate ai nostri compaesani d’America. Infatti dopo la suggestiva accoglienza, nella mattinata di venerdì 7, del pullman degli emigranti, provenienti dall’aeroporto di Roma,in prossimità del paese in zona “Fonticelle” con lo spazzaneve, in serata, nella Palestra comunale c’è stata la Festa di Benvenuto all’emigrante.

E’ stata una serata eccezionale con centinaia di capracottesi in festa ad applaudire e ad abbracciare i cari americani. Particolarmente commossa Darlene Scocca Comegno che prima del suo intervento non ha nascosto l’emozione lasciandosi cadere alcune lacrime sul suo gioioso viso. Dopo gli interventi del sindaco Antonio Monaco, del sindaco Darlene Scocca Comegno e di Joseph Paglione si è dati il via al buffet. Un ricco menù a base di antipasto, primi piatti e dolci, tutti pietanze preparate nel rispetto delle ricette paesane e con materia prima locale. Come da tradizione non poteva mancare la musica. S’è iniziato con alcuni canti capracottesi. Un improvvisato gruppo canoro composto da compaesani e accompagnati dalla fisarmonica di Don Ninotto Di Lorenzo ha cantato “ru spazzaneve” il famoso brano composto da Don Gennaro Di Nucci in onore del Clipper inviato dagli americani nel 1950, mentre il canadese Armando Bonfiglio ha cantato due suoi brani uno dedicato alla Madonna di Loreto (“Festa a Capracotta”) e l’altro all’emigrante (“Noi emigranti”) (gli stessi brani che avevano commosso tutti durante le “reunions” americane. ndr). Subito dopo la bacchetta è passata al gruppo musicale “Ballando sotto le stelle” che, coinvolgendo tutti i presenti con danze popolari, ha allietato la serata sino a tarda notte. La notte è passata tranquilla.

Sabato 8 mattina ancora un incontro con gli emigranti. Questa volta, però, l’appuntamento è stato nei locali del Comune. I compaesani alla spicciolata sono arrivati in Piazza Falconi. Verso le nove e trenta è arrivato il Vescovo di Trivento Domenico Scotti. Verso le dieci è arrivato il cardinale americano Bernard Francis Law. A fare gli onori di casa il parroco Don Elio Venditti e il sindaco Antonio Monaco. Dopo pochi minuti è iniziata la cerimonia vera e propria.

Schierati di fronte alle lapidi poste all’ingresso del Municipio, si è proceduto alla commemorazione dei caduti in guerra dei capracottesi con l’Inno Nazionale e quello de Il Piave, eseguiti dal concerto bandistico Città di Lanciano. Con in testa il sindaco, il corteo, poi, ha raggiunto la sala consiliare del Comune per l’incontro ufficiale tra i rappresentanti delle Istituzioni e gli emigrati. In ricordo di questo straordinario evento il sindaco Monaco ha donato al Cardinale Law, al vescovo Scotti e al viceconsole americano un bassorilievo raffigurante lo stemma di Capracotta e a Joseph Paglione e alla Darlene Scocca Comegno un attestato di stima e di ringraziamento. Dal canto loro i graditi ospiti hanno ricambiato l’offerta con affettuose dediche riportate sul Libro delle Memorie depositato in Comune. Joseph Paglione ha scritto: “E’ un giorno grandissimo e indimenticabile per tutti i cittadini capracottesi e tutti noi nel mondo per l’occasione del monumento che, oggi, ci ha riuniti e, contemporaneamente, ci ha ricollegati.

Facendo questo noi lo facciamo anche per le future generazioni”. Degno di nota anche il gesto di Don Carmelo Sciullo che ha voluto donare al Comune la bandiera argentina che gli fu donata per meriti religiosi dalle autorità argentine a fine della missione svolta in quel paese. Dopo le foto ricordo ci si è incamminati verso la Madonnina per la celebrazione della Santa Messa. Il corteo accompagnato dal concerto bandistico di Lanciano ha percorso a piedi l’intero tragitto. La bella giornata, anche se fresca, ha consentito la passeggiata senza difficoltà. Alle ore 11,00 è stata celebrata la Santa Messa dal cardinale Francis Bernard Law assistito dal vescovo Scotti e dal parroco Don Elio Venditti. Presenti sull’altare anche i sacerdoti Don Carmelo Sciullo, Don Alberto Conti, Don Nicola Perrella, Don Michele e Don Ninotto Di Lorenzo. Ha accompagnato la celebrazione il coro “Il Principalone” che, in chiusura della cerimonia religiosa, ha intonato due brani dedicati alla Madonna di Loreto e musicati dal bravo compaesano prof. Vincenzo Sanità. Dopo la Santa Messa le autorità e tutti i cittadini poi hanno raggiunto il monumento per l’inaugurazione dei bronzi.

Il monumento, già, nelle prime ore del pomeriggio del giorno dell’inaugurazione, è stato meta turistica dei primi curiosi accorsi per ammirare ed apprezzare il manufatto.

Tutti positivi i commenti sul valore artistico dell’opera e sulla simbologia adottata dallo scultore Di Campli per rappresentare il fenomeno migratorio registratosi nei primi anni del 1900 e continuato nella seconda metà del secolo scorso a Capracotta e nel resto d’Italia. “Quel monumento è il simbolo di tutti capracottesi, hanno dichiarato in molti, che volenti o nolenti hanno dovuto abbandonare Capracotta per cercare fortuna in altri nazioni e in altri paesi”. Questo, probabilmente, è il suo valore intrinseco che ha emozionato e fatto riflettere tutti, americani e non. Per questo motivo diciamo ai compaesani americani grazie per la vostra iniziativa. Ci avete ricordato che siamo in tanto ad avere emigrato ma ci avete ricordato anche che le nostre radici sono sempre lì a Capracotta. Nessuno le ha dimenticate e le dimenticherà. Ci auguriamo che questa “capracottesità” produca la linfa necessaria per il futuro di Capracotta.

(Dr. Matteo Di Rienzo)

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